martedì 7 febbraio 2017

060217 Architettura – antisettis per il sole24ore, domenicale
Salvatore Settis ha scritto ancora una volta contro gli architetti e per sponsorizzare il suo “giuramento di Vitruvio”. Merita una risposta, ma indiretta.

Caro Massarenti,
ti scrivo dopo qualche anno per commentare una seconda nota,  pubblicata sul recente Domenicale del Sole24ore (29.01.17), contro i maledetti architetti che “devastano il corpo sociale riempiendo di orrori città e campagne”. Sembra di capire che “la frammentazione territoriale , la violenta e veloce modificazione dei paesaggi, il dilagare di periferie sprawl, il moltiplicarsi di rovine , discariche, non luoghi residuali” siano tutte disgrazie da attribuire anche all’opera degli architetti.
Contro queste disgrazie, il Domenicale ripropone la soluzione di tre anni fa, cioè un “Giuramento di Vitruvio” (alla maniera dei medici), formula invero molto “carina” sulla quale si può costruire (pare) anche un qualche successo accademico.
Desidero dunque esporti alcune considerazioni, premettendo che Vitruvio è sempre stato per me (ed è tuttora)  un riferimento imprescindibile  che ha informato tanti anni di docenza.
Vitruvio, come si ricorda sul Domenicale, è vissuto nel primo secolo  avanti Cristo; la sua lezione ha avuto molti seguaci, almeno sino al ‘500. In questo lungo periodo la società ha subito indubbiamente cambiamenti, ma non tali da essere paragonabili a quelli prodotti dalla Rivoluzione francese, dall’industrializzazione, dalla globalizzazione, dal pensiero post moderno, ecc. Oggi la proposta di un giuramento non può prescindere da questi eventi, se non vuol essere inutile e sommamente ridicola.
Immagino che con il termine architetti si volesse  indicare sul Domenicale il variopinto mondo di attori che intervengono sul territorio italiano con competenze non sempre ben definite: architetti con diversi livelli di laurea e specializzazioni, ingegneri di vario tipo, geometri, periti edili e quant’altro. Anche la molteplicità di questa congerie  di attori diversamente formati non può essere trascurata per una seria analisi che, ad esempio, dia qualche numero statistico. Si vedrebbe, allora che uno studio commissionato dal CNA nel recente passato stima in un 3-4% del totale la massa del costruito addebitabile (!) agli architetti.
Torniamo ora alla congerie di cui poco sopra. In Francia il progetto di architettura è campo d’azione degli architetti in virtù di una legge che ne stabilisce le competenze e, insieme, i poteri e le responsabilità. Ho partecipato con vari ruoli alla scrittura di molteplici testi legislativi analoghi, con risultati nulli: in Italia il tema non interessa, anche se proprio ultimamente è stato riportato all’attenzione da un gruppo nutrito di colleghi. La legge dovrebbe innanzitutto determinare la natura delle prestazioni dell’architetto. Orbene devo segnalare che nel nostro sistema l’opera dell’architetto svolta per la pubblica amministrazione non  è considerata opera d’ingegno bensì (udite udite !) prestazione di servizio, alla pari delle pulizie, delle guardianie, del catering, ecc.
Penso che, per la sua stessa natura, il Domenicale potrebbe meritoriamente interessarsi con impegno al successo di una “legge per l’architettura” e quindi ti sollecito in questa direzione. Non che io creda sui poteri salvifici di una simile legge, ma sono certo che se la voce e le opere degli architetti arrivassero al corpo della società italiana attraverso una informazione qualificata, si otterrebbe molto di più che con un giuramento etico il quale, di fronte alla cecità, all’ignoranza, agli interessi materiali dei decisori politici, alla corruzione sistemica diventa un flatus vocis.
 Ancora: sono anni che gli Ordini professionali e l’Istituto Nazionale di Architettura chiedono che nell’assegnazione di incarichi professionali per opere pubbliche si torni alla pratica del concorso: non parliamo tutti di voler premiare il merito? Orbene, in Italia questa procedura sembra un orpello inutile o un paralizzante lacciolo; viceversa nel tempo qualche risultato lo darebbe, specie se i burocrati venissero responsabilizzati al proposito. I professionisti si sentirebbero più protetti ed impegnati a comportamenti etici. Pure su questo argomento il Domenicale potrebbe far molto.
Ma qual è la forza degli architetti nel contesto della società? Il sistema ordinistico, relitto delle antiche corporazioni, è inadeguato ad una tutela della professione che oltrepassi la soglia di una gestione burocratica o notarile. Qualche miglioramento si potrà avere se, con la tutela del CNA, nasceranno anche in Italia delle associazioni private capaci di proporsi come “soggetto sociale” nel senso dato da Habermas a questa locuzione. Ma parlo di tempi lunghi.

Infine, segnalo un aspetto che mi sta particolarmente a cuore. C’è una distanza molto grande tra l’architettura moderna e contemporanea e il “sentire comune” della popolazione italiana in una materia così complessa. Molti di noi sono interessati a questo esiziale fenomeno; personalmente ritengo che una parte dei problemi connessi riguardino la mancanza di qualche vettore informativo (non professionale!)  che sappia giungere al corpo grosso del Paese o almeno a qualche sua parte. Se l’architettura contemporanea non fosse ignorata com’è, c’è da credere che molte strade contorte che il progetto oggi deve faticosamente percorrere, perdendo ad ogni curva una parte del suo iniziale valore, si raddrizzerebbero almeno un poco. Anche qui penso alle possibilità di un’alleanza della categoria con il tuo giornale, del quale conosco bene le potenzialità.

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