Questo documento è la
revisione e l’integrazione di un mio articolo pubblicato su IlSole24ore del 5
dicembre 2011 (digitare su Google: La riforma deve partire dalla
scuola media) nel quadro di un dibattito sul destino dell’università
italiana, aperto meritoriamente sul domenicale del giornale.
LA RIFORMA DEVE
PARTIRE DALLA SCUOLA MEDIA
di Massimo Bilò
Due o tre riflessioni
sulla scuola media e l'università
(che si potrebbero intitolare: per una minima parità di partenza dei giovani ed una loro comune formazione
adeguata alla selezione per merito)
1 - Premessa
Nel 2010 il PD formulò 10
proposte per la scuola di domani che erano totalmente condivisibili.
Rappresentavano la piattaforma strumentale minima per una scuola che
funzionasse dignitosamente. Ma, per entrare nel merito di una riforma (con la R
maiuscola) della scuola media, sin da allora bisognava battere innanzitutto la
cultura del ministro Gelmini che mostrava di portare il Paese nella direzione
opposta a quella auspicabile. Il ministro, infatti, moltiplicava il numero dei
licei (sei almeno) e riformava (più esattamente, consolidava) gli indirizzi e
le funzioni degli istituti tecnici e professionali.
Prevaleva ancora una volta il
pensiero di Giovanni Gentile delle separatezze culturali e delle gerarchie
sociali. Croce e Gentile hanno, infatti, prefigurato ed attuato una scuola con
due principali caratteristiche:
-
ordina gli studi in ragione
degli interessi di una classe dominante che privilegia la "sua"
scuola (il liceo classico);
-
risponde modestamente alla
domanda di progresso tecnologico (con il liceo scientifico) nonché alla
necessità di quadri intermedi (istituti tecnici) e di operatori qualificati
(istituti professionali).
Si sentono forti gli echi del
pensiero aristotelico che distingue tra sapienza, saggezza e técne e di quello medievale che
distingue tra "arti liberali" e "arti meccaniche". Alla
faccia della modernità, separa nettamente la cultura
storico-filosofico-letteraria da quella scientifica. Ha scritto Bruno Arpaia
che l'80% degli interlocutori "intellettuali" dichiara di non essere
interessato ai temi della scienza, ma non ammette buchi nelle conoscenze
"umanistiche": una scissione esasperata dalla metà del XIX secolo.
Croce, sulla scia di Hegel, affermava che la scienza non ha valore conoscitivo
e quindi, con Gentile, si permetteva di umiliare qualunque matematico che
osasse prendere la parola nei dibattiti filosofici. E' uno dei presupposti sui
quali Gentile ha fondato la scuola media attuale. Sul rapporto tra le "due
culture" da tempo è stato riaperto con autorevolezza sul domenicale del
Sole24ore un dibattito che, purtroppo, ogni tanto cade colpevolmente in
letargo.
Più di recente il dibattito
sulla formazione nelle medie è ripreso in forma nevrotica e paradossale con
proposte estemporanee, mai organiche: sopprimere il liceo classico, sopprimere
le lingue antiche a favore delle scienze, introdurre corsi di logica
obbligatori (Odifreddi: via il latino, per la logica meglio la matematica o gli
scacchi), sopprimere tutte le scuole e potenziare il liceo classico (Canfora) …
e così via. Tutte hanno qualche giustificazione ed eguale inconsistenza
pratica. Vediamo quindi i ragionamenti più organici sinora pubblicati.
2 - Il dibattito del
passato prossimo sull’università
L'innesco più interessante al
dibattito sulla scuola media è giunto dall'area universitaria (Claudio Giunta)
ed è partito dalla considerazione che troppi studenti si iscrivono alle facoltà
storico-filosofico-letterarie e delle scienze umane, sia per mancanza di un
loro interesse definito sia perché sono facoltà (apparentemente) più facili,
benché è di tutta evidenza che non vi saranno sbocchi lavorativi sufficienti.
Nel tempo si sarebbe costituita una convergenza di interessi diversi e
nient'affatto nobili, in capo a ministeri, università, docenti e famiglie, che
spinge i giovani verso le facoltà anzidette.
La diagnosi di Giunta era
certamente condivisibile e ben nota a chi ha insegnato nell’università per
oltre quarant’anni e ne ha registrato il progressivo deterioramento generale,
fatta salva qualche isola felice. Altrettanto condivisibile era l’idea che la
“cultura diffusa” non può sopperire all’istruzione scolastica, ordinata per
gradi crescenti di approfondimento. Meno condivisibile era l’idea che l’attuale
situazione potesse essere contrastata a partire dall’università. L’università,
infatti, è un recapito finale e non bisogna alimentare l’illusione che essa
possa sopperire alle carenze di base, specie se non esistono filtri d’ingresso
adatti a selezioni basate su attitudine, competenza e merito.
Non condivisibili sono state anche le
ibridazioni proposte da qualche docente (Vittorio Marchis) tra corsi di laurea
scientifici e materie “umanistiche”. Il rischio è che diventino iniziative
portatrici di ulteriore frammentazione e destinate ad aumentare il numero già
eccessivo dei corsi di laurea. Meglio accentuare i caratteri distintivi di ogni
percorso di studi, dimagrendolo sino ai soli fondamentali vecchi e nuovi, e
lasciare ai dottorati, ai master, agli interessi dei singoli e alla cultura
diffusa il compito di mettere in relazione aree di studio anche distanti.
3 – Proposta per una
riforma pedagogica della scuola media: dal 3+5 al 5+3
Il dibattito sulle due culture e
sulla loro integrazione è dunque partito dall’università; ma da tempo ritengo che, nell’attuale situazione di
crisi delle sedi e dei percorsi formativi, delle idealità, delle aspirazioni e
dello spirito di sacrificio dei giovani, dello scarso interesse e delle
incertezze educative delle famiglie, il
centro del problema (come la sua soluzione) si collochi nella scuola media,
inferiore e superiore, vecchia ma oggetto di continue innovazioni casuali e
pasticciate, indotte da scopi eterogenei, più iscrivibili nelle varie aree
funzionali che in quella pedagogica.
Insomma, se una riforma della
scuola media e superiore si vuol fare, si deve partire dalla riforma del suo
profilo pedagogico; servirà anche all’università.
3.1 - Alcune osservazioni
elementari possono aiutare e le espongo partendo dalle esperienze personali
di un docente della facoltà di architettura (dove i giovani entrano da
qualunque provenienza!); questa precisazione è essenziale perché l’architettura
fonda su entrambe le due culture, legate in modo inscindibile (cosa che la
distingue sostanzialmente dall’ingegneria).
Orbene: è ammissibile che un
giovane che entra nell’università sappia qualcosa (o anche tanto) di Leopardi,
ma non conosca il significato della forza di gravità o la natura della corrente
elettrica? Oppure che sappia cos’è una proporzione (e addirittura un integrale),
ma non abbia nozioni minime di storia dell’arte? Che sia abile a tornire un corpo
metallico, ma non sappia come funziona l’attrito? Che manovri agevolmente la
partita doppia ma non conosca la Costituzione? Che abbia studiato proficuamente
Kant ma non sappia dov’è il fegato e a cosa serve?
Non si pensa mai abbastanza al
fatto che molti incidenti sul lavoro e molti di quelli che accadono in casa o
in ufficio dipendono, a ben guardare, da carenze nelle conoscenze di base in
fisica, in chimica, in anatomia ecc. ecc. ; che molti equivoci e difficoltà
quotidiane nei rapporti sociali dipendono da altrettante carenze di base in
giurisprudenza, assetti istituzionali, disposti costituzionali e così via.
3.2 - Domanda conseguente: l’attuale scuola media e superiore rende
eguali i cittadini di fronte alla necessità di sapere, alla vita quotidiana,
alle occasioni di lavoro e alla vita in generale?
Non si può rispondere
affermativamente e se una riforma si deve fare questo è il vero punto
d’attacco: la parità dei saperi contro
un sapere articolato per categorie sociali e funzionali come ha voluto
Gentile. Non è stato utile, dunque,
rincorrere il ministro (Gelmini) sulle sue proposte, finalizzate ad obiettivi
che poco spartiscono con i bisogni del vivere; sarebbe stato più utile contrastarne
le decisioni con un progetto del tutto innovativo che rimettesse in campo
categorie fresche, adatte ad un rinnovamento della società.
Si può pensare, ad esempio, ad un
progetto che riarticoli gli otto
anni delle scuole medie e superiori in modo da ottenere due risultati:
- un ciclo quinquennale obbligatorio unificato, che parifichi tutti i cittadini in termini di conoscenze di base: un percorso di preparazione alla vita;
- un ciclo triennale di specializzazione che prepari varie uscite immediate sul mercato del lavoro e/o sia una ragionata premessa alla scelta degli studi universitari.
Gli esperti sapranno scegliere e
dosare le materie idonee alla finalità generale.
La proposta parte anche dalla
conoscenza dei risultati ottenuti con i cosiddetti “diplomi di laurea”,
inopinatamente soppressi; parte da un assoluto rammarico per le scelte
sostenute dalla sinistra in materia di corsi di laurea triennali e semestralità
(combattuti da alcuni di noi in tutti i modi possibili!). La giusta
preoccupazione di anticipare l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro
poteva non mortificare gli studi universitari, ma fermarsi alle scuole medie
superiori adeguatamente riordinate e potenziate dai diplomi di laurea. Al
proposito, sarebbe utile censire il numero degli studenti che si fermano alla
laurea triennale, per capire quanto la speranza di anticipare il tempo del
lavoro con il 3+2 sia stata velleitaria. Come sembra dicesse il noto
sottosegretario Luciano Guerzoni, “ogni mamma italiana ha diritto ad un figlio
laureato”; ma per laurea quella mamma non intende certo la triennale!
Se dopo i cinque anni di base si
avesse un ciclo triennale con vari indirizzi specialistici, questi potrebbero
tranquillamente aprire le porte al mondo del lavoro in una vasta serie di
occupazioni di secondo livello, ma del tutto soddisfacenti, nei settori:
giuridico, bibliotecario, museale, ospedaliero, della ricerca scientifica, ecc,
ecc. (d’altra parte, non è già così per i geometri e i ragionieri?). Un successivo
accesso all’università sarebbe più selettivo e molto facilitato dalle
conoscenze acquisite; ridurrebbe quella necessità che oggi abbiamo di
contrastare l’analfabetismo che pesa sui primi anni accademici.
Delineando un percorso formativo
siffatto, forse riusciremmo anche ad eliminare l’idea devastante che un giovane
e la sua famiglia possono prescindere da qualsiasi progetto di futuro, da
ideali e responsabilità verso se stessi e la società, perché tanto si può entrare
in qualunque (o quasi) facoltà, cambiare idea in qualsiasi momento del percorso
scolastico ed avanzare a tentoni, secondo la convenienza contingente, tra
debiti e crediti e altre invenzioni che mal si conciliano con il penoso stato
organizzativo (e fisico) della scuola e delle università italiane.
4 - Infine, sul merito
Il richiamo alla selezione degli
studenti basata sulla parità di partenza e sul merito è ormai un rituale che
accompagna qualunque programma di governo quando rivendica la sua ispirazione
democratica. C’è da chiedersi se una scuola media come l’attuale possa
soddisfare le due condizioni; da quanto si è esposto sopra (3.1) sembra
corretto rispondere negativamente. Se la scuola media è articolata sin
dall’inizio sulla base di indirizzi
diversi (sempre discendenti della visione di classe gentiliana) parità, merito
e democraticità saranno solo illusioni.
Nessun commento:
Posta un commento