sul Sole24oreD del 07.09.14
Salvatore Settis prosegue la crociata per una nuova moralità dell’architettura
e degli architetti.
In un articolo sulla Biennale di
Venezia, denso di citazioni (che evidentemente fa sue), Settis ci segnala che
l’economia di mercato ha corroso la dimensione morale dell’architettura, tant’è
che è ormai evidente una divaricazione tra architettura e società civile. Un
sintomo di questa situazione sarebbe l’estetizzazione dell’architettura che
comporta la rimozione di ogni preoccupazione sociale, economica e politica: la
seduzione dell’immagine opera contro qualsiasi impegno sociale. Inoltre, la
qualità estetica quando legittima operazioni immobiliari contro il bene comune,
diventa essa stessa una merce. L’architetto, infine, sembra rigettare ogni
responsabilità su temi di cui nessuna morale può fare a meno: la socialità, la
giustizia, i diritti.
Un articolo denso, dunque, che
propone molti argomenti si riflessione.
Che l’economia di mercato abbia
corroso la dimensione morale dell’architettura è vero e falso ad un tempo
perché l’intensità del fenomeno non è la stessa per tutti i contesti: dove
regna la corruzione delle strutture burocratiche e politiche il fenomeno è
accentuato; dove le popolazioni sono coinvolte attivamente (gare di
progettazione, giurie trasparenti, controllo pubblico, merito, ecc. - per
quanto riguarda questo settore) tende a ridursi e scomparire, seppure in regime di economia di
mercato.
Ma dov’è poi questa lamentata
divaricazione tra società civile e architettura, dal momento che non è chiaro a chi realmente interessi
l’architettura? Proviamo a riflettere sui due attori, a cominciare dal primo,
la società civile.
Se per società civile si
intendono tutti i cittadini nel loro insieme (la sfera pubblica di Habermas)
questa divaricazione non c’è proprio, almeno in Italia perché, tolti alcuni
intellettuali, nessuno si preoccupa della qualità architettonica: l’interesse
ai costi, ai tempi, alle procedure prevale macroscopicamente su qualunque
altro. Se per società civile s’intende l’insieme delle associazioni e dei
movimenti di base (cioè la sfera pubblica organizzata), non si può non rilevare
come ciascuno di essi promuova un suo tema specifico che, nei casi migliori, si
affianca all’architettura in modo acritico. Se invece si intende l’insieme dei
decisori politici e tecnici, l’interesse per la qualità architettonica è notoriamente basso o nullo.
Per quanto riguarda l’altro
attore della divaricazione, l’architettura, la progressiva “estetizzazione” è
da lungo tempo nota a molti operatori dell’area che in diverse sedi la
contrastano, per quanto è possibile. Il termine estetizzazione, comunque, è
impropriamente usato perché l’architettura è costituzionalmente un prodotto
estetico; quindi è più corretto parlare di “dittatura dell’immagine”. Anche
Settis ha scoperto che dell’architettura oggi interessa solo l’immagine, la
bella immagine, l’immagine originale e stupefacente, la “figurina”; ciò giustamente
lo preoccupa.
Orbene, chi è interessato alle
immagini? L’architetto, ovviamente, perché l’immagine rappresenta per lui uno
strumento di controllo progettuale e di comunicazione; ma l’architetto affianca
alle immagini ben altri complessi strumenti grafici che in genere sono del
tutto ignorati o incomprensibili ai più. La cosa grave di questa ignoranza è
che essa alberga in molti cultori della materia, storici e critici tra essi,
che si nutrono di immagini, di sole immagini e su quelle basano le loro
riflessioni.
L’inflazione delle immagini, la
dittatura dell’immagine, sono invece da imputare ai decisori politici e
tecnici, alle burocrazie di vario livello, ai costruttori in primis, agli
industriali, agli editori, ai giornali quotidiani, ai settimanali illustrati,
ecc., cioè a gran parte di chi norma, condiziona ed esprime la domanda di
progetto.
In un contesto così strutturato,
cosa significa rimproverare all’architetto il rigetto di ogni responsabilità? Dovrebbe
rifiutare questo mercato professionale, estraniarsi, espatriare, rinunciare?
Facile a dirsi, se si hanno altri redditi. Dovrebbe opporsi, ma con quale
forza? Qui entrano in gioco le responsabilità di soggetti, come il parlamento,
i partiti, le amministrazioni pubbliche, la scuola di ogni grado, le facoltà di
architettura, gli ordini professionali, ai quali Salvatore Settis dovrebbe
rivolgere il suo sguardo critico, la sua voglia di cambiare.
Nessun commento:
Posta un commento