domenica 21 settembre 2014

090914 Architettura – etica degli architetti
sul Sole24oreD del 07.09.14 Salvatore Settis prosegue la crociata per una nuova moralità dell’architettura e degli architetti.
In un articolo sulla Biennale di Venezia, denso di citazioni (che evidentemente fa sue), Settis ci segnala che l’economia di mercato ha corroso la dimensione morale dell’architettura, tant’è che è ormai evidente una divaricazione tra architettura e società civile. Un sintomo di questa situazione sarebbe l’estetizzazione dell’architettura che comporta la rimozione di ogni preoccupazione sociale, economica e politica: la seduzione dell’immagine opera contro qualsiasi impegno sociale. Inoltre, la qualità estetica quando legittima operazioni immobiliari contro il bene comune, diventa essa stessa una merce. L’architetto, infine, sembra rigettare ogni responsabilità su temi di cui nessuna morale può fare a meno: la socialità, la giustizia, i diritti.
Un articolo denso, dunque, che propone molti argomenti si riflessione.
Che l’economia di mercato abbia corroso la dimensione morale dell’architettura è vero e falso ad un tempo perché l’intensità del fenomeno non è la stessa per tutti i contesti: dove regna la corruzione delle strutture burocratiche e politiche il fenomeno è accentuato; dove le popolazioni sono coinvolte attivamente (gare di progettazione, giurie trasparenti, controllo pubblico, merito, ecc. - per quanto riguarda questo settore) tende a ridursi e  scomparire, seppure in regime di economia di mercato.
Ma dov’è poi questa lamentata divaricazione tra società civile e architettura, dal momento che  non è chiaro a chi realmente interessi l’architettura? Proviamo a riflettere sui due attori, a cominciare dal primo, la società civile.
Se per società civile si intendono tutti i cittadini nel loro insieme (la sfera pubblica di Habermas) questa divaricazione non c’è proprio, almeno in Italia perché, tolti alcuni intellettuali, nessuno si preoccupa della qualità architettonica: l’interesse ai costi, ai tempi, alle procedure prevale macroscopicamente su qualunque altro. Se per società civile s’intende l’insieme delle associazioni e dei movimenti di base (cioè la sfera pubblica organizzata), non si può non rilevare come ciascuno di essi promuova un suo tema specifico che, nei casi migliori, si affianca all’architettura in modo acritico. Se invece si intende l’insieme dei decisori politici e tecnici, l’interesse per la qualità architettonica è  notoriamente basso o nullo.
Per quanto riguarda l’altro attore della divaricazione, l’architettura, la progressiva “estetizzazione” è da lungo tempo nota a molti operatori dell’area che in diverse sedi la contrastano, per quanto è possibile. Il termine estetizzazione, comunque, è impropriamente usato perché l’architettura è costituzionalmente un prodotto estetico; quindi è più corretto parlare di “dittatura dell’immagine”. Anche Settis ha scoperto che dell’architettura oggi interessa solo l’immagine, la bella immagine, l’immagine originale e stupefacente, la “figurina”; ciò giustamente lo preoccupa.
Orbene, chi è interessato alle immagini? L’architetto, ovviamente, perché l’immagine rappresenta per lui uno strumento di controllo progettuale e di comunicazione; ma l’architetto affianca alle immagini ben altri complessi strumenti grafici che in genere sono del tutto ignorati o incomprensibili ai più. La cosa grave di questa ignoranza è che essa alberga in molti cultori della materia, storici e critici tra essi, che si nutrono di immagini, di sole immagini e su quelle basano le loro riflessioni.
L’inflazione delle immagini, la dittatura dell’immagine, sono invece da imputare ai decisori politici e tecnici, alle burocrazie di vario livello, ai costruttori in primis, agli industriali, agli editori, ai giornali quotidiani, ai settimanali illustrati, ecc., cioè a gran parte di chi norma, condiziona ed esprime la domanda di progetto.

In un contesto così strutturato, cosa significa rimproverare all’architetto il rigetto di ogni responsabilità? Dovrebbe rifiutare questo mercato professionale, estraniarsi, espatriare, rinunciare? Facile a dirsi, se si hanno altri redditi. Dovrebbe opporsi, ma con quale forza? Qui entrano in gioco le responsabilità di soggetti, come il parlamento, i partiti, le amministrazioni pubbliche, la scuola di ogni grado, le facoltà di architettura, gli ordini professionali, ai quali Salvatore Settis dovrebbe rivolgere il suo sguardo critico, la sua voglia di cambiare.

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